La società è in crisi, la realtà scivola.
Ovunque sembrano cadere pezzi di certezze, dai palazzi crollano mattoni di serenità e al telefono chiamano solo voci di call center.
Le strade maestre franano lasciandoci in un labirinto di sentieri bui dove ci aspettano i lupi, gli orsi e l’esercito di mostri che ci insegue da quando siamo bambini. Abbiamo il fiato delle ombre sul collo e tutte ci dicono che dovremmo fare di più, che se cadiamo è colpa nostra perché non siamo abbastanza attenti, siamo rammolliti e impauriti.
E allora ci sussurrano che dovremmo comprare armature potenti per proteggerci dai colpi e scegliere armi letali per andare in guerra contro tutti coloro che si metteranno sul nostro cammino, e se non sembreranno lupi è solo perché si sono travestiti da nonna.
Ci dicono di continuare a correre, anche quando il fiato si spezza, e di correre veloce – non prendere fiato, non guardare il paesaggio (che tanto non c’è niente da guardare), corri, continua a correre, non cedere spazio all’avversario, sii furbo, scaltro, veloce, produttivo. Ci raccontano che la realtà è una guerra da cui si può uscire solo vincitori o sconfitti.
Affranti, non riusciamo a far altro che andare avanti, con la schiena piegata e il cuore infranto.
Ma forse, dovremmo trovare il coraggio di fermarci
di sedersi ai piedi di un albero (rinsecchito)
e toglierci l’armatura.
Lasciare che gli altri ci superino, fare un sorriso sghembo e salutarli con la mano.
Magari, troveremmo il tempo di capire dove vogliamo andare, che strada percorrere, quale dei numerosi sentieri ci sembra più giusto.
Fumeremmo una sigaretta con il nostro mostro, vecchio conoscente, anche lui ormai stanco:
“da grande, avrei voluto fare il pittore”
gli vedremmo le rughe, su quella faccia scura e capiremmo di avergli sempre voluto bene:
“saresti un pittore meraviglioso”.
E accanto avremmo il lupo, la nonna, il lupo travestito da nonna, e qualche altro viaggiatore stanco di correre.
Insieme, decideremmo che abbiamo bisogno di tempo, di spazio e di abbracci, abbiamo voglia di perderci in strade senza traguardi ma con meravigliosi panorami.
Inizieremo a chiacchierare, e non ci fermeremo più.
Se la realtà è in crisi
forse è il momento di cambiarla.
La realtà non è un crisi, è cambiata. Ormai siamo così abituati che le parole sono solo mattoni a beneficio di chi sta raccontando. Ora ti sei seduta a parlare con il mostro che però rimane una proiezione delle paure interiori. Forse è arrivato il momento di guardare fuori da te. Cosa sta succedendo agli altri. Sorridi e lascia che l’aroma nuovo impegni le tue narici e chiediti se puoi riconoscere l’aroma dei singoli ingredienti che lo compongono. Dai un nome agli elementi che lo compongono. Ora sei in grado come un sommelier di riconoscere i vitigni che compongono la nuova realtà
Uno dei pezzi che piu’ mi e’ piaciuto del tuo blog e vicino al mio sentire e’ questo. Forse xche’ in certi momenti tocca una poetica prossima allo zen che e’ una delle mie strade maestre. Quella che prediligo xche’ tanto prossima alla natura, al dare valore alle piccole cose, ai ns aspetti piu’ discreti o anche di imperfezione, o sghembi e non mette in un angolo I cocci rotti della ns vita ne’ di quella degli altri ne’ i perdenti.
Mio padre era un perdente. Un agronomo forestale che mi ha insegnato ad amare la natura, boschi dove scorazzavo coi miei amici e amiche da bambina e non andava a caccia ma ci insegnava a piantare alberi. La vita!!!! Ma nella vita reale non aveva la tempra o grinta del carrierismo, e non ha mai rivestito posizioni di relievo e tanto meno di comando. Ma aveva un grande cuore e qs puo’ bastare….. Forse xche’ aveva molti amici pittori e dipingeva talvolta x diletto ho fatto qs associaz con lui e con lo zen leggendo.
Mollare la presa…della ns ansia, del ns bisogno di raggiungere un
obiettivo, della ns corsa vs un risultato che talvolta ci lascia stanchi e a mani vuote….qs ci indica lo zen. Forse anche newton comprese certe leggi che regolano l universo quando era rilassato in un grande prato sotto un albero. Lo zen e’ cogliere la dignita’ del filo d erba, del sasso nel torrente, della formichina e di quelle migliaia di persone comuni senza nome senza fama senza storia che x un attimo ci sfiorano x strada. E’ il Maestro che capisce dallo sguardo, dal portamento, dall umilta sofferta, da una ruga in volto che quel muratore o giardiniere o quella mattina ha la stoffa x diventare un buon allievo e chissa’ mai in giorno anche un Maestro della tradizione. In qs brano tu cogli bene tutto qs e lo sai esprimere con parole poetiche e sentite regalandoci un pezzo di cielo in qs giorni tristi di covid e lontananza dagli affetti.
PS. Anche il finale di Penelope ha lo stesso poetico respiro. Ma forse l idea che l alba di lei coincidesse col tramonto di lui mi faceva tristezza. Qui invece tutti sono salvi in un semplice gesto di empatia…..
Volevo dire quella sartina
Sono una maestra di yoga e vivo in valtellina…Di mio padre agronomo forestale ho gia’ parlato. Di mia madre…lei era laureata in legge, frequentava un mondo di colleghi ovviam in apparenza tanto piu’ brillanti di mio padre e la vita che lui le proponeva le pareva troppo angusta. Cosi a un certo punto se ne ando’ a milano a lavorare. Aveva una relaz con un avv intellett molto brillante e colto come del resto lo era lei e mi porto’ con se’. Avevo 4 anni. Fu come un uragano sotto ai piedi a quell eta’. Una ferita profonda come un canyon. Anche xche’ nel 1959 non e’ che capitasse spesso una separazione….Anche mio padre ne soffri ma senza mai provar rancore. Soffrivo troppo senza I miei boschi, senza mio padre, la nonna maestra che era grande lettrice e mi leggeva tanti libri, il nonno vecchio meccanico che mi.portava a funghi. Anche mia madre aveva letto molto ma…farlo x me… aveva poco tempo….Anche mio padre non era incolto: leggeva di botanica e di storia, era appassionato d arte…solo che non aveva quel modo brillante degli intellett di citta’ ma quello piu’ schivo e semplice dei montanari. E mia madre non l aveva capito. Non le bastava. Voleva un fuoriclasse ed essere lei stessa una fuoriclasse. X fortuna fui affidata dal giudice 6 mesi x ciascuno e se anche era uno stress cambiare continuamente scuola almeno evitavo x un po’ milano e x alcuni mesi crescevo tra le mie montagne!!! Mia madre sognava x me una gran carriera…magari all estero.. Spingeva xche’ facessi studi che mi aprissero un futuro in organizz internaz a ginevra o strasburgo o chissa’ dove e quando le dissi che avrei voluto fare psicologia mi rise in faccia “che cosa noiosa andare ad ascoltare le problematiche degli altri e le loro depressioni!!!”. Ironia della sorte il suo compagno a causa di una vita di tensione x essere sempre il primo, sempre un “vincente” (come lei) cadde in depressione. Nel frattempo io scoraggiata dal suo sarcasmo rinunciai a psicologia e optai x storia….storia orientale pero’ e non me ne pento!!! Fu la piu’ grande fortuna della mia vita xche mi si aprirono finestre su finestre su orizzonti e modi di pensare “divergenti” dai nostri e l’ opportunita’ di comprendere pregi e difetti della nostra stessa impostazione. Mia madre riprese a tornare in valle a una certa eta’ x godere I nipoti che avevano ereditato dal nonno la passione x la natura e l intelligenza piu del cuore e delle mani che della testa quasi fossero piccoli sioux lakota trapiantati sulle Alpi. Mia madre instauro’ in buon rapporto di amicizia con mio padre, suo ex marito. Lui aveva avuto altre donne, era uomo semplice ma pieno di charme (segno dei pesci), aveva una compagna ma col suo grande cuore non le aveva negato amicizia anche xche capiva l immenso “vuoto” che mia madre si portava dentro. Il “deserto” di quella corsa estenuante con capolinea in una depressione (del suo altrettanto ambizioso compagno) le era scritto in viso. In quegli anni imparo’ ad aprezzare la natura, le piccole cose, faceva yoga e imparava a fare I dolci x I nipoti. Leggeva I libri che leggevo io. Morto qs compagno e ormai anche lei 80enne e un po’ acciaccata mia madre torno’ definitivamente a vivere da noi (io con mio marito e figli al primo piano, a piano terra lei) (mio padre nel frattempo era ormai mancato). Teneva sulla scrivania alcune foto nostre e molte del suo ex marito (mio padre) sereno con me e fam tra I faggi e le pinete. Sembrava alce nero ai piedi delle vette del Montana. Spesso lei ci ripeteva di avere barattato tutto cio’ x lo smog e frenesia della metropoli. Mia madre dopo una vita frenetica guidata dal desiderio di affermarsi e di vedere affermato il suo compagno e’ morta nella casa dove mi ha “concepita” sostenendo che mio padre della vita aveva capito tutto e lei ben poco..(liberam tratto dalla storia della mia vita il che spiega anche xche nel leggere della “partenza di penelope” ovviam diversissima come personalita’ da mia madre e quasi opposta mi sia sentita cosi’ “visceralmente coinvolta” e abbia sentito qs “urgenza” di scrivere sia pur in modo imperfetto e contraddittorio su qs tema. Non certo x mettermi in primo piano. Uso uno pseudonimo. Ma xche ogni vita vissuta ha la “forza della testimonianza”. E solo raccogliendo le ns diverse testimonianze si puo’ arrivare a intravedere la trama della nostra storia e del nostro tempo.